La prospettiva di un ostacolo tariffario alle esportazioni negli Usa e in generale di una recessione globale colpisce particolarmente gli imprenditopri più coraggiosi come Giulianelli che negli anni difficili hanno investito. Lube ha chiuso il 2024 con un fatturato stabile a 285 milioni. L’89% dei ricavi sono stati generati in Italia, l’11% all’estero.
La quota degli Stati Uniti era minima, quasi irrilevante sul fatturato complessivo ma anche Lube, come altri cucinieri italiani, aveva intravisto grandi prospettive sul mercato nordamericano (sia in terminoi B2C sia soprattutto di contract) e aveva aperto a novembre il primo store a Miami che si aggiunge ai monomarca di New York, San Francisco e Los Angeles.
Una presenza non massiccia (i punti vendita Lube nel mondo sono 650) ma Giulianelli prevede «caos sui mercati ancora a lungo, con un rallentamento generalizzato della crescita e un aumento dei prezzi. Ci sarà un inevitabile calo della domanda che pagheremo tutti, in tutto il mondo».
Poi ci sono le conseguenze dirette su Lube e su molte imprese nella medesima condizione. «Abbiamo avviato un’espansione dello stabilimento di Treia, in provincia di Macerata, finalizzata ad aumentare la nostra quota di esportazioni. «Un investimento di 44 milioni avviato anche grazie ai fondi del Pnrr, che dobbiamo ultimare entro il 2026. Non possiamo fermarci, altrimenti perdiamo i finanziamenti. Ma rischiamo di arrivare ad avere la massima capacità produttiva della nostra storia in un momento di caos e rallentamento della domanda sui mercati globali».
Gli Stati Uniti erano, e sono, una delle mete più importanti di questa politica di espansione all’estero. «Temo che dovremo rivedere i nostri piani. Dobbiamo andare a cercare nel resto del mondo quello che pensavamo di guadagnare, in termini di vendite, negli Stati Uniti. Non sarà affatto facile. Dovremo rivedere tutta la strategia commerciale. Ma non possiamo fermarci»
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