Di seguito un estratto della intervista apparsa sul numero di settembre di Progetto Cucina
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Lo studio ps+a Palomba Serafini Associati nasce più di 30 anni fa con un obiettivo preciso, quello di colmare un vuoto: il gap esistente tra costruito e percepito. L’approccio progettuale di Ludovica Serafini e Roberto Palomba, infatti, è stato (e continua a essere) quello di procedere aiutando i brand a creare prodotti contemporanei e a costruire la strada perché questi siano capiti e apprezzati dagli utenti finali.
Da dove è partito e dove sta andando il vostro studio?
Il nostro studio è attivo ormai da tempo e, nel tempo, ha acquisito un buon nome. Credo proprio per l’obiettivo che ci siamo prefissati e che abbiamo perseguito, ovvero metterci in gioco sia sul piano del design di prodotto, sia quello del supporto alle aziende. Oggi le cose sono un po’ cambiate, anche se non di molto, ma quando abbiamo iniziato si sentiva davvero un gap profondo tra un buon progetto e una buona comunicazione dello stesso. I risultati quindi, spesso, arrivavano travisati, mal interpretati. Era un peccato e lo è ancora adesso quando succede. Ogni tanto penso che l’Italia sia un Paese abitato da tanti bravi designer, tanti bravi architetti, ma pochi manager e pochi comunicatori (bravi). Il nostro, quello del design intendo, è poi un settore che si parla parecchio addosso e ciò comporta un blocco comunicativo nella direzione dell’utente finale. Se ti parli addosso, infatti, non hai la capacità ascoltare, quindi fai fatica a capire e interiorizzare le esigenze di chi ti sta parlando. Il lavoro che svolgiamo insieme alle aziende, quindi, nel nostro ruolo di art director è proprio impegnarci per colmare questo gap, in modo da permettere ai brand di raggiungere gli utenti con il loro prodotto e con tutte le strategie messe in atto per comunicarlo, per farlo conoscere.
Quali sono i settori che vi vedono più impegnati?
Collaboriamo e abbiamo collaborato con brand internazionali di settori diversi: dal bagno alla cucina, ci occupiamo di architettura, interior design, industrial design, yacht design e ultimamente ci stiamo concentrando sul mondo dell’hospitality. Sono io, tra i due, quello più irrequieto. Appena capisco che un progetto è arrivato al suo culmine massimo, preferisco cambiare e cominciare a occuparmi subito di qualcosa di nuovo. Sono convinto che il nostro sia soprattutto un lavoro di servizio: i risultati si ottengono quando si riescono a trovare le strade per avvicinare davvero le persone e raccontare loro quello che stiamo facendo, che l’azienda sta facendo. Con Ideal Standard, per esempio, tutti i prodotti per l’ambiente bagno che abbiamo fatto uscire in questi anni sono diventati dei driver del settore, i progetti realizzati per i wc, per esempio, hanno realmente cambiato l’architettura del prodotto.
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