La neuroarchitettura entra in cucina

Una giovane scienza trasforma molti aspetti della progettazione per rendere piacevole l’esperienza del vivere gli ambienti
Lorena Beccaria, interior designer 

Un estratto dell’articolo pubblicato sul numero di Luglio-Agosto di Progetto Cucina. L’intero numero è scaricabile attraverso Apple Store o Google Play. Per scaricare il pdf basta cliccare qui!

 

Almeno una volta nella vita sarà capitato a tutti di entrare in una stanza, che fosse un negozio, un locale pubblico, un ufficio, un hotel o una casa privata, e non sentirsi a proprio agio, senza capirne bene la ragione. Succede perché, anche se non ne siamo consapevoli, i comportamenti e le emozioni sono influenzati a livello biochimico dall’ambiente: le geometrie, i colori, i materiali e, soprattutto, la luce trasmettono stimoli (visivi, tattili e olfattivi) che possono affaticare la nostra mente e alzare i livelli di allerta e stress. Come, al contrario, possono invece farci sentire bene, rilassati e al sicuro.  

In poche parole: lo spazio ha una diretta influenza sul nostro benessere psicofisico. Per approfondire il tema, abbiamo interpellato tre esperte: Giusi Ascione,  coordinatrice del corso ‘Neuroscienze e architettura’ per l’Ordine nazionale degli architetti ed esperta di neuroarchitettura, di cui scrive anche sul suo blog www.neuroarchitectura.com; Federica Sanchez, responsabile del Neuroscienze Lab dello studio di architettura Lombardini 22 di Milano, che lavora in collaborazione con il CNR di Parma, e Lorena Beccaria, interior designer esperta di neuroarchitettura con studi in Piemonte e in Liguria.

Federica Sanchez, responsabile del Neuroscienze Lab dello studio di architettura Lombardini 22 di Milano

 

 “A parlare seriamente di neuroarchitettura si è cominciato circa 30 anni fa grazie al lavoro di Fred Gage neuroscienziato del Salk Institute e agli studi di Roger Ulrich professore di architettura all’università Chalmers in Svezia sull’ambiente ospedaliero e di come questo influisse sul recupero dei malati: i ricoverati in stanze con vetrate affacciate sul verde guarivano prima di quelli le cui finestre davano su altri edifici o cortiletti interni”, spiega l’architetta Giusi Ascione. “Oggi può sembrare un’ovvietà, ma è stato da allora che si è cominciato a tenere conto dei principi delle neuroscienze, della psicologia e dell’architettura per trasformare tantissimi aspetti del progettare. Ad andare in crisi è stata una modalità progettuale esclusivamente attenta a questioni estetiche e stilistiche a favore di una nuova centralità dell’individuo, dei suoi bisogni e del suo benessere. Oggi sappiamo come creare le condizioni migliori per concentrarci, essere creativi, seguire una terapia, relazionarci bene con gli altri, e possiamo progettare luoghi di cura, di lavoro e di studio migliori”. Ma anche le nostre case: come abbiamo sperimentato durante la reclusione forzata del periodo Covid, per i colori sbagliati, le forme poco armoniche e disordinate o una disposizione scorretta degli ambienti e delle lampade, anziché rappresentare un’oasi di benessere la casa può contribuire ad alzare i livelli di stress, toglierci energie. “Ad avere un ruolo centrale per il nostro benessere profondo è la luce che, per rispettare i ritmi circadiani, dev’essere il più possibile naturale (quindi sì a grandi vetrate e lucernari) e, la sera, sostituita da una luce artificiale calda e disposta in modo armonico nello spazio. Quella fredda e diretta, utile quando dobbiamo svolgere un lavoro di precisione, se usata in modo diffuso nelle varie stanze interferisce con il nostro orologio biologico, sfasando il ritmo circadiano”. Cioè quel prezioso ‘orologio interno’ sincronizzato con il ciclo naturale del giorno e della notte, che determina aspetti importantissimi per la nostra salute: l’alternarsi di sonno e veglia, l’attività cerebrale, la produzione di ormoni, la rigenerazione cellulare e tante altre attività biologiche. E in cucina? “Anche qui la luce naturale è importantissima, per l’umore e perché ci aiuta a decodificare i colori, fondamentale per giudicare la freschezza e la qualità degli alimenti. L’ideale, per iniziare la giornata con energia, è che sia esposta a est e porti il sole sul tavolo della colazione. Poi, trattandosi di un ambiente in cui si svolgono tante funzioni, è anche importante che quella artificiale sia regolabile e differenziata: più intensa e diretta sul piano di lavoro, più d’atmosfera sul tavolo da pranzo”. 

Giusi Ascione, esperta di neuroarchitettura, di cui scrive anche sul suo blog www.neuroarchitectura.com;

La neuroarchitettura  e l’organizzazione funzionale degli spazi 

A rendere piacevole l’esperienza della preparazione dei pasti, poi, è anche l’organizzazione funzionale degli spazi, un altro dei pilastri della neuroarchitettura. Lo ha verificato lo Studio  Lombardini 22 in occasione della biennale di Eurocucina con FTK – Technology For the Kitchen – al Salone del Mobile di Milano del 2024, per la quale lo studio milanese ha ridisegnato il layout espositivo. “Grazie a una serie di simulazioni virtuali con 30 volontari dotati di sensori digitali, abbiamo potuto monitorare tempi di percorrenza e parametri fisici – pressione, battito cardiaco, livelli di attenzione – alle prese con diversi tipi di percorsi espositivi” spiega Federica Sanchez di Lombardini 22.  “In questo modo abbiamo capito come renderli più fluidi e piacevoli e come combattere l’affaticamento cognitivo. I risultati ci hanno dato ragione: un design basato sui principi neuroscientifici migliora significativamente anche l’esperienza fieristica, aumentando l’efficienza, la memorabilità e il coinvolgimento dei visitatori”. Un po’ come accade nelle nostre case: gli spazi confusi generano stress. Ecco perché anche in cucina è importante che gli arredi siano disposti in modo da seguire i flussi: le aree dispensa, lavaggio, preparazione e cottura vanno sempre disposte in modo da facilitare i movimenti e minimizzare il disordine visivo. “Naturalmente tra gli spazi collettivi e quelli privati c’è una differenza sostanziale: i principi universali vanno calibrati sui bisogni e le caratteristiche – età, cultura, storia personale – di chi poi la casa la vive ogni giorno”, spiega l’interior designer Lorena Beccaria. “Ricordandoci sempre che la cucina ha un ruolo centrale nelle nostre case e per il nostro benessere che, proprio in questo ambiente, si fa gesto quotidiano. Se, per esempio, qui sono sempre consigliabili colori che stimolano serenità e convivialità, quindi toni caldi come terracotta, senape e arancio, per chi ai fornelli vuole rilassarsi, meglio puntare su toni freddi come l’azzurro o il grigio chiaro, le tinte che favoriscono la tranquillità”. 

 

Il ruolo della natura 

La neuroarchitettura ci dice anche che il benessere profondo aumenta se si mantiene un contatto, visivo o diretto, con la natura. Dall’illuminazione rispettosa dei ritmi circadiani, che riduce lo stress del 30%, all’uso di materiali naturali, come pietra e legno, che rallentano il battito cardiaco e contribuiscono ad abbassare i livelli di cortisolo, fino all’inserimento di un angolo verde anche in cucina. “Materiali come legno, pietra, ceramiche artigianali, lino o cotone grezzo ‘parlano’ al tatto e alla vista, favorendo in noi sensazioni di radicamento e stabilità. Al contrario, le superfici lucide e riflettenti sono percepite come artificiali e aggressive, dunque da ridurre al minimo. Stesso discorso per le forme: quelle morbide, organiche, e le simmetrie che propongono rapporti armonici tra i pieni e i vuoti, aumentano il nostro benessere facendoci sentire più accolti e a nostro agio. Senza dimenticare naturalmente la funzione sociale di questo angolo della casa: la cucina, per definizione, è il luogo delle connessioni. Dunque, sì a una penisola con sgabelli che mi permettono di chiacchierare mentre cucino senza barriere. Ma anche a un bel tavolo centrale, illuminato con una luce calda e regolabile, che accoglie le persone e diventa un luogo di condivisione e di rituali famigliari che, giorno dopo giorno, contribuiscono a costruire solide relazioni positive con le persone che amiamo”. 

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