“Il design non ha ancora scalfito gli italiani”: ne è convinto Philippe Daverio, professore ordinario di design presso l’Università degli Studi di Palermo e noto conduttore televisivo, intervenuto venerdì scorso al Design Summit 2012 organizzato presso il Design Outlet Italiano a Santhià (Vc) e intitolato “Te lo do io il made in Italy”. “Quando vediamo le pubblicità di abitazioni o le proposte immobiliari di soluzioni già arredate”, ha proseguito Daverio, “ci imbattiamo in una concezione di casa che è ancora quella degli anni ’60-’70, e che appartiene a un passato lontanissimo”. Nonostante il generale apprezzamento per il made in Italy, dunque, il design italiano “è in realtà ancora da pionieri, e costituisce una quota di vendita molto ridotta”. Ciò provoca indubbiamente un po’ di tristezza, ma apre anche la strada a un “mare da conquistare” sia in Italia sia all’estero, dove, sempre secondo Daverio, “se le aziende intraprenderanno un percorso di convincimento sullo stile della qualità, allora il design si salverà”. Era presente al convegno anche Andrea Cancellato, direttore generale della fondazione La Triennale di Milano, che ha sottolineato come quello del design sia un campo nel quale gli italiani importano cervelli dall’estero, perché vengono considerati i più bravi. Il motivo di questa eccellenza è da ricondurre “all’incontro tra progetto e produzione, che ha ripreso la nostra tradizione manifatturiera e artigiana e ha reso il design una delle grandi professioni di massa del nostro Paese”. “Il design non è mera forma, ma forma, funzione e prezzo, e in tal senso è democratico”, ha commentato Marco Serralunga, titolare dell’azienda Serralunga, che ha aggiunto: “Oggi si acquista quasi sempre per avvicinarsi a uno stile di vita che risponde a una logica di desiderio, e non di consumo”. A seguire, la testimonianza di due giovani designer, Massimiliano Adami e Francesco Dell’Aglio, le cui opere sono esposte nello spazio Officina 42 del Design Outlet Italiano. Il primo ha accennato alla propria esperienza di autoproduzione, sottolineando la difficoltà di trovare una “possibilità distributiva”; il secondo ha invece fatto riferimento alla realtà industriale italiana, troppo spesso autoreferenziale e quindi “inaccessibili ai giovani designer”.
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