Maurizio David Sberna, responsabile relazioni esterne e affari istituzionali di Beko Europe all’incontro con il Ministero del Made in Italy ha ribadito che il piano industriale presentato non si tocca. Ci sono margini di trattative solo sui tempi: ad esempio gli stabilimenti e le linee previste per la chiusura potrebbero lavorare ancora per l’intero 2025. Una parte dei licenziamenti potrebbe essere trasformata in pre-pensionamenti. Poco altro.
Lo stesso ministro Adolfo Urso ha ammesso che la crisi di Beko viene da lontano “da ben prima che il gruppo Merloni decidesse di vendere l’azienda alla sua principale concorrente, Whirlpool, quando in molti allora dissero che quella vendita avrebbe pregiudicato l’industria dell’elettrodomestico, orgoglio del Made in Italy» avrebbe detto il ministro secondo il Sole 24 Ore.
Urso ha agitato debolmente lo ‘spauracchio’ del Golden Power ma senza preoccupare più di tanto Sberna il quale avrebbe assicurato che il piano «è conforme al quadro normativo». Detto in altre parole che il golden power non è applicabile in modo coercitivo in questa situazione.
L’incontro ha permesso a Beko di spiegare meglio la dimensione europea della crisi: la sovraproduzione consente ai produttori cinesi di acquisire crescenti quote di mercato (potremmo aggiungere come Uptrade che questo da qualche mese la sovraproduzione caratterizza anche il Made in Turkey). In Italia gli impianti Beko lavorano al 38% della capacità massima. I produttori europei che 10 anni fa consegnavano 49 milioni di pezzi ‘bianchi’ e avevano il 67% del mercato oggi ne fabbricano 40 milioni con una quota del 53%. Nove milioni di pezzi in meno. E i player asiatici hanno venduto esattamente 9 milioni di pezzi in più. Beko Europe sostiene che i suoi stabilimenti italiani perdono 180 milioni all’anno
C’è poco da fare quindi se non concentrarsi sulle nicchie che vedono un aumento della domanda (come il Builtin e la cottura).
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