Cedi: “Il D2C mette a rischio il rapporto col retail”

“I brand confondono il consumatore inducendolo a mettere in discussione la fornitura e la reputazione del rivenditore di mobili”, avverte Massimo Bertamino
Massimo Bertamino, Ceo di Cedi © Marco Baldassarre

Progetto Cucina ha pubblicato nel numero di Luglio-Agosto ha dedicato una inchiesta alle vendite dirette dei brand al consumatore. Ecco un estratto di una delle tre interviste pubblicate.

La versione integrale è disponibile on line a questo indirizzo

Quando il D2C è aggressivo, i brand confondono il consumatore inducendolo a mettere in discussione tutta la fornitura e la reputazione stessa del rivenditore di mobili” avverte Massimo Bertamino, Ceo di Cedi. Da quasi 40 anni sul mercato, Cedi è un distributore specializzato di elettrodomestici da incasso e a libera installazione, top da cucina e accessori per mobili. Oggi opera in 32 province del Centro sud e controlla unafi quota del 24,4%fi del potenziale mercato italiano (fonte Csil). Interpellato sul Direct to consumer Massimo Bertamino, Ceo dell’azienda, non nasconde di guardare al fenomeno come a una turbativa che rischia di impattare negativamente su tutta la filiera.

Le aziende che ha in portafoglio vendono anche direttamente le linee di elettrodomestici che forniscono ai distributori? Se sì, come le hanno spiegato questa scelta?

Questa problematica è all’attenzione del settore. Non tutte le aziende del Built-in vendono direttamente. Tra le eccezioni cito Bosch che opera anche con un sito e-commerce in tutta Europa. con la sola eccezione dell’Italia. In questo modo si pone in controtendenza rispetto alle grandi multinazionali del settore, che calano le loro iniziative su tutti i mercati in cui operano senza tener conto delle specificità di ciascuno. Per restare in Europa, ogni Paese ha una propria idea di cucina e una propria filiera. Aggiungo che non si può pensare di equiparare il mercato italiano, dove l’online pesa il 10% ed è un mercato puramente speculativo, al mercato inglese, dove incide per il 50% e si attiene a una logica di servizio. Tanto è vero che il posizionamento prezzi è del tutto paragonabile a quello del canale fisico. Anche il negozio di prossimità è una specificità non trascurabile del mercato italiano. Consideri che Cedi gestisce 3 mila punti vendita selezionati in un panel di 12 mila. È evidente che l’approccio del consumatore italiano ai canali digitali è significativamente diverso rispetto a quello degli inglesi. L’indagine ‘The State of Shopping’ pubblicata lo scorso aprile da ShopFully, la tech company che opera nel drive to store, ha rivelato che, indipendentemente dalla categoria merceologica, il 95% degli italiani rispondenti preferisce acquistare nei punti vendita fisici e tra questi, quasi 7 su 10 (il 65%) compra esclusivamente in negozio. È per questo che in Italia la scelta dei brand di fare il D2C rischia di essere destabilizzante. Nelle strategie D2C dei brand ci sono comunque importanti differenze. Alcuni mantengono un prezzo che non li mette in competizione con la filiera. Anche quando, per essere più attrattivi, regalano il trasporto o l’estensione di garanzia, non si mettono in contrapposizione con la filiera, perché questi sono servizi che vengono valutati dal pubblico, ma non impattano sul prezzo. La politica per l’online di altri brand è aggressiva, perché il loro obiettivo è essere competitivi rispetto ai pure player e agli specialisti del settore. Questa non è la missione del brand. Almeno non in Italia, dove secondo un dato diffuso da GfK nel 92% dei casi le cucine vengono vendute complete di elettrodomestici.

Perché allora l’azione di questi brand rischia di essere destabilizzante?

In Italia il negozio di arredamento è una presenza fissa nei centri abitati, anche relativamente piccoli. Con la loro offerta così competitiva, questi brand rischiano di confondere il consumatore e di intaccare il grande rapporto di fiducia che lo lega al rivenditore locale di mobili, che magari da generazioni serve la sua famiglia. Inevitabilmente, scoprendo che avrebbe potuto acquistare dal brand gli stessi elettrodomestici a un prezzo nettamente inferiore a quello messo a preventivo dal rivenditore, mette in discussione tutta la fornitura, anche quella dei mobili.

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